mercoledì 2 aprile 2008

L’ “imbroglio” del quoziente fiscale


Berlusconi negli ultimi giorni parla molto di condizioni salariali e di reddito e si ripromette un riequilibrio a favore dei meno fortunati, parla di indicizzazione delle pensioni e di aumenti di reddito per i lavoratori. Il punto forte di questa strategia poggia su un nuovo sistema di prelievo fiscale, con l’introduzione del “quoziente familiare”. In altre parole il Popolo delle libertà (sic!) propone di passare dalla tassazione del reddito individuale, alla tassazione del reddito familiare. Naturalmente il passaggio allude al beneficio che ne dovrebbero ricavare le famiglie, in particolare con figli a carico. Il quoziente familiare prevede che si sommino i redditi dei coniugi. Per determinare l’imponibile cui applicare le aliquote fiscali (supponiamo quelle in vigore) il reddito totale si divide per il numero dei componenti della famiglia, attribuendo al contribuente e al coniuge un coefficiente 1, e a ogni figlio a carico un coefficiente 0,5. Al reddito medio familiare così determinato si applicano le aliquote in vigore. Il risultato viene moltiplicato per la somma dei coefficienti del nucleo familiare (2;2.5;3… ecc.), ottenendo in questo modo l’imposta che le famiglie devono versare al fisco. Con le attuali aliquote progressive, rispetto al sistema oggi in vigore, il vantaggio è tanto maggiore quanto più elevato è il reddito complessivo dei coniugi. Una famiglia a basso reddito collocata nel primo o secondo scaglione IRPEF, non avrebbe nessun vantaggio dal nuovo sistema dato che la riduzione del reddito imponibile per effetto del quoziente familiare non determinerebbe alcuna riduzione significativa dell’aliquota applicabile. Al contrario questi contribuenti potrebbero risultare svantaggiati, in considerazione del fatto che l’introduzione del quoziente familiare comporrebbe la sparizione delle detrazioni. Le famiglie che ne trarrebbero maggiore beneficio sarebbero quelle ad alto reddito con uno dei coniugi a reddito zero. Non va trascurato, infine, il fatto che ciascun figlio contribuisce alla riduzione del reddito imponibile per lo 0,5%; il che significa valutare diversamente il figlio di un ricco rispetto al figlio di un povero. Difficile smentire questa ricostruzione, ma quanti elettori indecisi verranno a sapere di quest’imbroglio a loro danno dai media ufficiali? Facciamolo noi con l’insuperabile metodo della controinformazione.